***«Bandrui», «banfile», «banfaith»;
il sacerdozio druidico femminile***
La tradizione classica, attraverso gli scritti dei suoi
autori, ha più volte testimoniato la presenza di donne tra le file della classe
druidica. I successivi studiosi medioevali e contemporanei spesso, però, ne
hanno negato l'esistenza o hanno sminuito la figura delle Druidesse.
I primi probabilmente avevano un interesse particolare nel voler negare alle
donne una partecipazione diretta e attiva nelle «cose sacre», da una parte per
riservare ai maschi il privilegio della guida spirituale (e poi temporale) della
società e dall'altra per sostenere il concetto che voleva Eva «complice» del
serpente nell'allegoria biblica del peccato originale, mentre i secondi forse
non hanno che ereditato dai loro predecessori tutta una serie di pregiudizi nei
confronti della femminilità e della sua espressione sacerdotale. Bisogna tener
presente che il Cristianesimo ha dovuto minare alla radice la cultura celtica
per sostituire le proprie credenze a quelle della religione druidica e
certamente lo sminuire l'importanza della donna fu uno di questi passi.
Come abbiamo detto detto vi sono pareri discordanti circa l'accesso delle donne
al ruolo druidico. Alcuni studiosi parlano di donne-druido, altri di donne "del
druido" (dato che i Druidi potevano sposarsi), mentre altri ancora sono più
propensi a ritenere che esse rivestissero un ruolo di semplici medium o
sensitive di basso rango, piuttosto che di vere e proprie sacerdotesse.
Malgrado queste moderne ipotesi vi sono testimonianze antiche classiche e
medievali, della presenza di comunità sacerdotali esclusivamente femminili, o
integrate da elementi maschili, che confermerebbero invece l'idea dell'
esistenza di vere e proprie Druidesse.
Posidonio, per esempio, citato da Strabone, cita l'esistenza di un'isoletta
allargo della foce della Loira, in Francia, occupata da una comunità
esclusivamente femminile alla quale non erano ammessi gli uomini. Le donne che
la abitavano, della tribù dei Namnetes, tuttavia ogni tanto tornavano sulla
terraferma per incontrare i propri mariti.
Pomponio Mela, geografo romano del I secolo d.C., parla nel suo De Chorographia
di nove sacerdotesse dette Gallizenae, votate alla verginità, che vivevano
sull'isola di Sena di fronte alla Pointe du Raz, sulla costa occidentale dell'
Armorica (oggi Ile de Sein nella Bretagna sud-occidentale, Francia) e che erano
dotate di poteri magici in grado di scatenare tempeste, tramutarsi in qualsiasi
animale, guarire gli ammalati e predire il futuro ai marinai che si recavano
presso di loro.
Tacito nei suoi Annali (XIV, 30, 1-3) descrive una scena di battaglia nella
quale Druidi e «femmine [...] vestite di nero, simili a Furie, scapigliate e con
fiaccole in mano» tentavano mediante invocazioni e incantesimi di tenere lontani
da un luogo sacro i soldati romani.
Plutarco riferisce la storia di Camma, una sacerdotessa della dea celtica
Brigit-Brigantu-Belisama (che nella citazione viene identificata con la
corrispondente greca Artemide), moglie di Sinatos e druidessa per tradizione
familiare e Lavio Vopiscus dichiara che l'imperatore Aureliano (215-275 d.C.)
consultò delle Druidesse galliche per sapere se suo figlio sarebbe stato
imperatore, cosa negata dal responso.
Ma non solo le fonti classiche riferiscono la presenza di sacerdotesse celtiche
nell'antichità. Diverse iscrizioni rinvenute in Francia durante scavi
archeologici infatti rivelano l'esistenza di Druidesse nella Gallia Transalpina,
come nei pressi di Metz dove viveva Antistia o a Le Prugnon e Arles.
'" Ma il sacerdozio femminile celtico è ancora una questione che fa discuterè.
Se da un lato la tradizione irlandese riporta i termini bandrui '(donna-druido),
banfile (donna-poeta), banfaith (donna-indovino), dal,l'altro si giudicano gli
stessi vocaboli come inesattezze terminologiche e \ si designa per il sacerdozio
femminile una semplice pratica della veggenza, della profezia e della
divinazione (a volte allo stadio di «stregoneria>>), mentre si ritiene che
nessuna donna compisse sacrifici o dispensasse l'msegnamento. La tradizione
celtica irlandese (ma sembra I fosse presente anche in quella celtica
continentale) conosceva una specializzazione particolare riguardante l'esercizio
della predizione, a cui erano votati sia gli uomini, i faith, che le donne,
banfaith (donna-indovino) e banfile (donna-poeta).
Sempre per quanto riguarda l'Irlanda, si narra che nella seconda battaglia di
Mag Tured le tre druidesse Badhbh, Macha e Morrigan scatenarono una tempesta di
grandine e di nubi di veleno che avrebbe reso il nemico debole e confuso,
privandolo di buon senso e intelligenza. A questo incantesimo si aggiunse poi
quello delle due druidesse Bé Chuille e Danann, che provocarono nei nemici
«tristezza, angoscia, timidezza e grande stanchezza, tanto che essi non ebbero
più né buon umore né coraggio» e le due sacerdotesse promisero di far sorgere
dalle erbe dei boschi e dalle foglie degli alberi dei guerrieri pronti a
combattere contro gli stranieri.
Lo studioso T.D. Kendrick, facendo riferimento a una antica tradizione
irlandese, riporta che nei pressi di Cluain Feart (oggi Clonfert) esisteva una
comunità di di Druidesse capaci di scatenare tempeste e attirare malattie
mortali sui propri nemici e la ricca mitologia irlandese ricorda nelle storie
dedicata all'eroe dei Fianna Fionn Mac Cuhmail i nomi delle druidesse Bodmall,
Smirgat, Milucrah e Geal Chossach del Donegal.
Sempre l'epica irlandese nel Tàin Bò Cuailnge narra dell'incontro tra la regina
del Connacht Medb e Fidelma, che definisce se stessa una banfile, conoscitrice
dell'incantesimo dell' imbas forosnai, e viene così descritta: «Aveva capelli
biondi. Indossava un mantello di vari colori trattenuto da una spilla d'oro e
una tunica con un cappuccio e il bordo ricamato di rosso. Portava calzari con
legacci d'oro [...]. Aveva i capelli acconciati in tre trecce: due avvolte
attorno alla testa, la terza che ricadeva sulla schiena fino a sfiorare i
polpacci. Teneva in mano una bacchetta di findruine con intarsi d'oro. [...] La
giovane era armata e due cavalli neri tiravano il suo carro.».
In epoca
cristiana la famosa santa irlandese Brigidh fu, secondo il Rennes Dinnsenchus,
figlia del druido Dubthach e lei stessa una ban-file <<donna-poeta» e una
ban-drui «donna-druido», prima di essere battezzata da Mael vescovo di Ardagh e
fondare la comunità monastica di Kildare (Cill Dara, la «chiesa della quercia»).
Anche l'importante San Patrizio ebbe a che fare con le donne-druido in due
occasioni quando consigliò ai re irlandesi di diffidare dei loro servigi e,
forse per questo, dolvette proteggersi dai loro incantesimi chiedendo
l'intervento diretto di Dio attraverso un'invocazione.
f:. La cultura celtica, avvalendosi della tradizione orale per la trasmissione
del sapere, affidava a miti e leggende il compito di conservare, sotto forma di
simboli, tutte quelle informazioni utili per insegnare il comportamento da
tenere nella vita sociale, oltre che mostrare, a chi era in ?rado di intuirne le
indicazioni, i concetti e i consigli per lo sviluppo interiore e spirituale. Più
di una volta, perciò, si sono riscontrate nelle leggende celtiche le linee di
condotta della società, della religione e della cultura, celate nelle figure e
nelle gesta di eroi e divinità. Pertanto la presenza di Druidesse che scagliano
incantesimi e che fanno profezie potrebbe essere un chiaro indizio di una loro
effettiva esistenza fra le file dei Druidi.
Inoltre bisogna tenere presente che, sebbene i Celti fossero un' espressione
diretta di quegli Indoeuropei che giungendo in Europa sostituirono i simboli
neolitici femminili legati alla Dea e alla Madre Terra con dèi e simboli
maschili, solari e celesti, essi non «cancellarono» del tutto l'antica
tradizione, rispettandone spesso le forme e i ruoli.
E solo la mentalità di tradizione patriarcale ebraica veicolata dal
cristianesimo di Roma, e quella greco-romana che ci hanno abituati a
pensare all'esclusione dal sacerdozio per le donne e all'esistenza di Druidesse
come un fatto eccezionale o limitato alla semplice veggenza intesa come
«stregoneria», mentre nella società celtica nulla di tutto questo era
considerato «strano». La veggenza, come abbiamo visto, era infatti una delle
specializzazioni druidiche riservate ai Vati gallici e ai Filid irlandesi, ruoli
prestigiosi per individui che esercitavano l'arte della profezia come contatto
diretto con la Realtà Spirituale e quindi tutt'altro che infima mansione. Il
fatto che si trovino riferimenti alla presenza di ban-file o a ban-faith eleva
invece enormemente la funzione della donna nella spiritualità celtica.
Le donne quindi continuarono a rivestire una notevole importanza nella società
celtica, cosa .che non fu in quella greca, romana e soprattutto cristiana, ed è
quindi probabile una loro appartenenza a tutti gli effetti alla classe druidica.
Le sacerdotesse della Dea continuarono a svolgere le loro mansioni come Sue
«rappresentanti» servendo in diversi modi le molteplici manifestazioni della
parte femminile della divinità è all'interno della società celtica si trovano
ottimi ed eloquenti esempi della particolare funzione druidica femminile, che si
espresse in seguito anche nelle prime comunità monastiche cristiane irlandesi.
.Si conosce, sempre per l'Irlanda, uno speciale gruppo di sacerdotesse ancelle
(forse 300) che risiedeva a Tara, luogo centrale dove si trovava il re supremo,
con il compito di. servire il sovrano, testimoniare la pace ed emanare, grazie
alla loro femminile presenza, l'armonia nel regno.
Forse le donne definite «streghe» nel medioevo potrebbero essere state le eredi
della tradizione delle Druidesse, forse le sacerdotesse della Luna e della Dea
che perpetrarono nei boschi l'antico culto pagano, la cura con le erbe e gli
incantesimi, la profezia. Ma è molto più probabile che con la decadenza del
ruolo druidico, sia maschile che femminile, le poche rappresentanti rimaste
dell'antico culto, con il passare del tempo, si siano indirizzate verso un culto
lunare soprattutto orientato verso la ricerca dei poteri psichici (legati
simbolicamente alla Luna) piuttosto che verso una reale spiritualità.
In questo modo sembrerebbe trovare in parte confermate le affermazioni secondo
le quali alle donne era riservato l'aspetto divinatorio, frutto dei poteri
psichici, e non quello sacrificale e di altre funzioni druidiche maggiormente
legate alla spiritualità celtica. Tuttavia non siamo d'accordo sul riconoscere
alle Druidesse esclusivamente la funzione di veggenti, anche se i miti celtici e
gli scritti classici riportano numerosissime testimonianze in proposito, ed è
importante invece tener conto delle figure di donne che esercitarono la medicina
ed espressero nella società celtica precristiana la particolare forma di
sacerdozio femminile che si occupava di tutte le manifestazioni attribuibili al
principio femminile della creazione, la Dea Unica, celata nelle sembianze delle
innumerevoli e varie forme delle divinità delle acque e delle sorgenti
conosciute con centinaia di nomi diversi.