***Organizzazione famigliare e usanze celtiche***

Abbiamo accennato alla più piccola cellula della società celtica, la famiglia, denominata in Irlanda fine. Intendiamo ora analizzare un poco più dettagliatamente la sua composizione e i costumi che ne regolavano le azioni.
Come si è detto la base della società celtica era quindi la famiglia, ma essa va intesa nel senso più ampio del termine, dato che comprendeva tutte le persone fino al IX grado di parentela sottoposti all'autorità di un capofamiglia (cenn-fine) equivalente, più o meno, al paterfamilias latino. All'interno del fine vi trovavano posto fino a cinque generazioni di persone.
Se andiamo ad analizzare il rapporto uomo-donna all'interno della società celtica, notiamo come questo sia inaspettatamente paritario, vista la grande importanza che godeva la casta dei guerrieri e il prestigio e valore che si dava alla virilità. Il sistema celtico e indoeuropeo in genere è essenzialmente patriarcale, anche se alcuni indizi, presumibilmente ereditati dal sistema matriarcale neolitico, potrebbero far pensare il contrario.
La donna celtica  poteva possedere del bestiame, che come abbiamo visto, costituiva il metro di valutazione della ricchezza e di conseguenza del grado sociale occupato, e in tempi più recenti la terra; poteva diventare regina e guidare il proprio popolo in battaglia, come fecero in Britannia Cartimandua dei Brigantes o la regina Boudicca (o Boadicea) degli Iceni; aveva diritto, come regina, a un terzo del bottino di guerra e le imposte dovute al pagamento di spese penali erano spesso devolute a lei in monili.
La donna celtica aveva il diritto di scegliersi il marito e non poteva essere presa in sposa se non dietro suo consenso. Se il marito avesse «perso la dignità», a causa di qualche crimine commesso, e fosse quindi bandito dalla società e costretto a perdere i propri diritti civili, la moglie non veniva coinvolta dall'accaduto, né per quanto riguarda il suo denaro né per la sua posizione sociale. La donna celtica era completamente responsabile dei propri debiti e non di quelli del marito.
Il limite d'età stabilito per il matrimonio era fissato a 14 anni per le femmine e a 17 per i maschi, momento in cui le persone erano in grado di prendere decisioni e divenivano padrone delle proprie azioni. Cesare ha ben testimoniato nel De Bello Gallico l'usanza matrimoniale celtica descrivendo che quando un uomo riceveva una donna in moglie era obbligato a pagare lo stesso prezzo che la sposa aveva portato a lui come dote e, dopo aver messo tutto in comune, il patrimonio veniva amministrato da entrambi. Tuttavia, se il marito moriva, la moglie riprendeva dal capitale comune solo la sua parte e i frutti che da essa ne erano venuti, mentre il resto andava alla famiglia del defunto. Lo stesso discorso valeva se era l'uomo a rimanere vedovo: riprendeva esclusivamente la propria parte di beni e lasciava il resto alla famiglia della moglie.
In Irlanda se un uomo voleva sposare una donna doveva pagare una certa somma al padre della ragazza, se questa si sposava per la prima volta; se era la seconda volta che essa andava in sposa il padre non aveva che i due terzi della somma, mentre il restante andava alla figlia; se era la terza volta il padre non aveva che un terzo della somma, e così via. Se il padre della ragazza era morto, allora era il fratello maggiore ad avere diritto alla metà della somma spettante al padre.
A differenza di come siamo abituati, e di quanto era in vigore presso i Romani, la donna celtica, una volta sposata, non entrava a far parte con la sua dote della famiglia del marito perché rimaneva proprietaria dei propri beni. L'uomo quindi pagava una certa somma per avere in sposa una fanciulla e in più la famiglia dello sposo pagava (al padre o al capo del clan) anche un prezzo detto coibche «prezzo sulla verginità» o «prezzo della sposa», una cui parte andava alla ragazza, precedentemente alla prima notte di nozze, mentre presso i Romani e i Germani questo era corrisposto dopo la prima notte di nozze. Sembra una sottigliezza di poco conto, ma invece denota in che misura i Celti considerassero le proprie donne! In realtà il coibche non veniva pagato in quanto garanzia della verginità della ragazza, ma come somma per aver portato al di fuori della famiglia un membro, come una sorta di indennizzo per la «perdita» di un famigliare e di una forza-lavoro. Il coibche veniva restituito allo sposo se il matrimonio finiva con una separazione o un divorzio causato dalla ragazza.
Non vi erano grandi cerimonie di matrimonio, forse un festino al culmine del quale il matrimonio veniva consumato, ed essendo un contratto sociale non vi erano celebrazioni religiose. n matrimonio celtico era una libera unione di due persone libere che potevano decidere in qualsiasi momento di separarsi e in questo caso essi venivano trattati con il medesimo metro.

Nell'Irlanda precristiana il solo termine esistente per designare il matrimonio è quello di caratrad, traducibile con la parola «amicizia», lo stesso utilizzato per definire i contratti. La monogamia era presso i Celti come presso tutti i Popoli indoeuropei,\una regola giuridica e il concubinaggio non costituiva affatto un' eccezione, dato che non interessava minimamente il patrimonio, tuttavia anch'esso era regolato da una serie di norme. Ogni relazione fra uomo e donna, da un semplice «incontro occasionale» a un matrimonio sia temporaneo che duraturo, era regolato giuridicamente con precisione.
Qualsiasi uomo, anche sposato, poteva avere una o più concubine, adaltrach o dormun (anche se questo tipo di condotta era perlopiù prerogativa della classe regale o nobile), ma doveva pagare un prezzo definito che consisteva in una sorta di acquisto della donna per un anno, o una somma data per il suo mantenimento. La ben urnadna «<donna del contratto») era legata all'uomo come concubina per un solo anno e tale legame veniva rinnovato giorno dopo giorno, sistema questo che assicurava alla donna una certa libertà. Questi matrimoni temporanei sembra venissero celebrati durante la festa di Beltaine o di Lughnasadh, ma viene tramandato il periodo attorno al mese di Novembre (e la festa di Samhain) come momento favorevole ai matrimoni.
In ogni caso il concubinaggio legale dell'uomo non ledeva assolutamente i diritti della moglie legittima (la cétmuinter «moglie-capo») che rimaneva la sposa a pieno titolo. Essa poteva farsi aiutare nei lavori domestici dalla/ e concubina/ e del marito, ma poteva anche rifiutarne la presenza in casa e pretendere dall'uomo che l'intrusa fosse allontanata sotto pena del divorzio. La moglie ufficiale aveva anche il diritto di picchiare la concubina e se vi era scorrimento di sangue durante la zuffa la padrona di casa non veniva giudicata dalla legge. L'uomo celtico era apparentemente il capo della famiglia, ma mai il capo della coppia. La legge del diritto irlandese riconosceva nove tipi di matrimonio (inteso in realtà come «unione sessuale regolata» o ldnamnas), tutti determinati da norme ben definite.
Il primo:  il 1anamnas comthinchuir «<unione delle proprietà in comune»), avveniva quando un uomo e una donna di uguale rango sociale (sarebbe più preciso dire di medesima ricchezza) si univano facendo un contratto matrimoniale: essi godevano allora degli stessi diritti e doveri l'uno nei confronti dell'altro. In questo tipo di unione la donna veniva chiamata bé cuitchernsa «<moglie di pari autorità»).
Il secondo caso si verificava nel 1anamnas mna for ferthinchur «<unione di una donna alla proprietà dell'uomo») quando un uomo sposava una donna inferiore a lui come rango e patrimonio: essa portava poca o nessuna ricchezza e non aveva quasi potere di decisione.
Il terzo caso contemplava la possibilità che un uomo sposasse una donna di rango e ricchezza superiori ai suoi, ed egli veniva così chiamato fer fognama «<l'uomo del servizio») o anche fer for banthincur «<ll'uomo sotto il dominio della donna»), e vedeva subordinate le proprie decisioni a quelle della moglie che si trovava a poter disporre del proprio destino e di quello del marito.
Il quarto tipo di matrimonio era il 1anamnas fir thathigteo «<unione di un uomo in visita»), la relazione che si aveva quando un uomo andava ad abitare nella casa della donna con il consenso dei parenti.
Il quinto caso, detto 1anamnas airite urail, si verificava quando una donna se ne andava liberamente con il proprio uomo ma senza aver ottenuto il consenso dei parenti.
Il sesto, detto lanamnas foxail, prevedeva che la donna si lasciasse rapire dal futuro marito e nel settimo, il 1anamnas taide, l'uomo andava a trovarla segretamente. Entrambe queste due forme di unione venivano portate avanti senza il consenso dei parenti.
L' ottavo caso di matrimonio (ci teniamo a ricordare che presso i Celh questa parola ha più il significato di «unione», «relazione» che non di «matrimonio» vero e proprio come lo intendiamo noi), detto 1anamnas éicne no slaithe, si aveva come conseguenza di uno stupro e il nono tipo, detto 1anamnas genaige, era l'unione che si verificava fra due persone dementi.
Per quanto riguarda le violenze sessuali, la Legge Brehon irlandese distingueva due diversi casi di stupro, sebbene la punizione per entrambi fosse la medesima. Il primo caso, detto forcor, era il rapporto sessuale subito con violenza ed eventualmente ferite da parte della donna.
Il secondo caso, detto sleth, era il rapporto sessuale avuto furtivamente mentre la donna dormiva, era ubriaca o in preda a confusione mentale, tanto da non essere in grado di dare il proprio consenso. Il colpevole e i suoi consanguinei erano costretti a pagare il prezzo dell' onore alla persona violata e se non lo facevano entro un certo numero di giorni, la vittima andava di fronte all'abitazione del malfattore e iniziava un digiuno di protesta. Se questi non si decideva ancora a pagare era legittimo alzare il prezzo della «multa» e gli si poteva confiscare il bestiame estremo rimedio che però poteva causare ulteriori liti e spargimenti di sangue. In ogni caso non c'era imprigionamento e punizione fisica del colpevole, perché normalmente bastava la pressione sociale a ristabilire la giustizia.
L'intero prezzo dell'onore inoltre doveva essere pagato da un uomo che metteva le mani sotto gli abiti di una donna allo scopo di sedurla e indurla a unirsi a lui e il reato di violenza sessuale, con la stessa «multa», era anche previsto nel caso di «assalti verbali» che si verificavano quando un uomo, oltre ad apprezzamenti «pesanti», rivolgeva a una donna parole di derisione per il suo aspetto fisico, la chiamava con nomignoli o diffondeva voci infondate sul suo conto.
Tuttavia vi. erano alcune donne che non potevano invocare giustizia per una violenza sessuale: una donna che aveva acconsentito ad avere un rapporto sessuale per poi ripensarci; una donna sposata che, non accompagnata, si recava in una «casa della birra» (sottintendendo che era in .ricerca di compagnia maschile); una donna sposata che accettava di incontrare in segreto un altro uomo; una donna che offriva il proprio corpo a molti uomini sia in cambio di un prezzo che per il semplice piacere.
Il divorzio (imscarad) era permesso e riconosciuto come diritto della coppia e riguardava principalmente la suddivisione del patrimonio comune: Vi erano diversi casi che consentivano la separazione. Uno di questi era quando l'uomo, senza il permesso della propria moglie, la lasciava per un'altra donna. La consorte poteva da quel momento ritenersi svincolata da qualsiasi unione e andarsene dove voleva, ma poteva anche rimanere nella casa in cui abitava se fosse stato un suo desiderio. Altre cause di divorzio potevano essere la mancanza di sostentamento e protezione da parte del marito, le falsità o i pettegolezzi sul conto della moglie che l'uomo metteva in giro, la scoperta di essere stata indotta al matrimonio grazie alla magià.!! \Un marito poteva picchiare la moglie per «educarla»(!?), ma lei poteva chiedere il divorzio se a seguito delle percosse mostrava dei lividi.
Altri motivi di divorzio o di annullamento di un contratto matrimoniale potevano essere l' impotenza o l'aumento di peso del marito, cause di impedimento nel portare a termine un «buon incontro» amoroso; l'appartenza lla Chiesa o di essere un vescovo (in tempi cristiani); la condizione di essere un  uomo libero, ma senza alcuna terra in proprio possesso. La divisione era permessa anche quando il consorte preferiva frequentare il letto di giovani uomini invece che quello della moglie oppure quando si permetteva di raccontare particolari della relazione sessuale con la moglie o a causa di una sua sterilità. Un uomo poteva chiedere il divorzio quando la moglie si era dimostrata infedele, metteva in atto continui furti, si era procurata un aborto, soffocava i propri figli, non aveva latte o gettava discredito sull'onore del marito.
Vi era anche .la possibilità di avere una separazione senza che questa comportasse  del problemi dal punto di vista del pagamento di somme o della perdita dell' onore da parte dei coniugi. La separazione poteva avvenire perché l'uomo si impegnava nella ricerca di un amico oltre il confine del tuàth, si univa a una spedizione di massacro per vendetta (digal) o partiva per un pellegrinaggio. Se uno dei due partners risultava sterile, l'altro, invece di divorziare, poteva andare a «cercare un bambino» da un altro uomo o un'altra donna e il nuovo nato risultava figlio della coppia .

I figli nati all'interno di una coppia vivevano solo alcuni mesi, o forse qualche anno, con i genitori effettivi, perché venivano in seguito mandati presso delle famiglie che si facevano carico del loro vitto, alloggio ed educazione fino all'età di 14 anni per le femmine (ma poteva essere estesa per altri tre anni) e di 17 anni per i maschi, quando questi ultimi erano in grado di portare le armi e presentarsi quindi al cospetto del padre naturale.
Questa usanza è conosciuta con il nome inglese di forestage (aice o altramm in gaelico) e consisteva appunto nell' affidare i bambini a dei genitori adottivi che li allevavano e li educavano fino alla maggiore età.
Vi erano due tipi di forestage. Il primo era quello in cui i bambini venivano affidati a persone nobili e di valore dalle quali i genitori speravano di ottenere per i figli una buona educazione e che prevedeva il pagamento del relativo compenso, in genere alcuni capi di bestiame, un cavallo da tiro, degli oggetti preziosi, degli utensili dal lavoro. Il secondo tipo invece non prevedeva alcun pagamento, ma avveniva soprattutto in virtù di legami di amicizia.
Il legame venutosi a creare con l'adozione obbligava i figli a mantenere in vecchiaia i genitori adottivi e i giovani cresciuti assieme nella stessa famiglia (comaltae) rimanevano uniti da una stretta amicizia anche dopo il loro ritorno nella casa dei genitori naturali e i loro rispettivi matrimoni. Essere stati allevati ed educati nella casa di persone di valore inoltre costituiva motivo di prestigio sia per la famiglia di origine che per i ragazzi in forestage.
Il Glossario di Cormac descrive le sei età dell'uomo, dividendole in due parti di tre periodi ciascuna. Nella prima parte erano raggruppate: 1) naidenach (infanzia); 2) macdacht (fanciullezza); 3) gillacht (pubertà). Gli stadi della seconda parte erano: 1) hòclachus (età virile); 2) sendacht (vecchiaia); 3) dwlidecht (senilità).
I costumi sessuali sono forse uno degli aspetti dell' antica cultura celtica che oggi può risultare molto interessante analizzare, sia per i contenuti e i concetti in grado di veicolare nella nostra società malata.
Attraverso i secoli naturalmente le varie conquiste di Romani, Sassoni, Anglo-Normanni e Francesi e della religione cattolica sessuofoba hanno modificato le antiche usanze, costringendo i moderni eredi dei Celti a condotte sessuali estranee a quelle antiche. Tuttavia è bene ricordare che il Cristianesimo Celtico (quello sviluppatosi soprattutto in Irlanda) era poco organizzato gerarchicamente, essendo rappresentato più che altro da eremiti, abati e sacerdoti che davano la loro particolare interpretazioni alle scritture, come vedremo in seguito.
La sessualità come ogni altro aspetto della cultura celtica, era considerata come sacra e unita alla Vita, espressione di quest' ultima (dell'OIW nella manifestazione di Karantez, Amore-Creatività-Produttività), non esistendo divisione fra profano e sacro, spirito e materia, secondo l'insegnamento druidico. Il concetto cristiano della divisione fra bene e male, spirito e materia, sacro e profano, della dualità fra mente e corpo, passione e intelletto, costrinse invece i costumi sessuali celtici a una profonda modificazione.
I Druidi non vissero la sessualità come un impedimento o un problema sul percorso spirituale e non imposero pratiche o astinenze alle persone della società celtica. Essi consideravano l'essere umano un insieme integrato di varie componenti che armoniosamente contribuivano a condurlo verso quello che i nativi americani chiamano il «Grande Mistero» e che oggi possiamo definire la «Vita». li corpo, con le sue esigenze e attività, così come la mente, le emozioni e i sentimenti, le passioni e i desideri, e lo spirito con le sue caratteristiche, erano un insieme organico che cresceva con relazioni interdipendenti fra le parti che lo formavano.
Un corpo che viveva uno stato di disagio non poteva creare che malessere e difficoltà ai sentimenti e ai pensieri, impedendo allo spirito di trovare un «ambiente» armonico in cui manifestarsi e attraverso il quale esprimersi. L'intero essere umano quindi risultava impossibilitato a esprimere quella parte di «Grande Mistero» che la Vita gli aveva assegnato e contribuire allo sviluppo e al benessere della comunità nella quale era inserito.
Il Cristianesimo introdusse il concetto di un corpo separato dallo spirito e in contrasto con i «progetti» divini che quest'ultimo veicolava sulla Terra. Da tale pensiero nacque quello dell' essere umano come «parte», come essere separato dal resto della Natura e superiore a essa dell'uomo come padrone del creato e non come creatura fra le altre. Lo sfruttamento insano del pianeta a cui oggi assistiamo, la prevaricazione di un popolo sull'altro per un concetto errato di superiorità razziale, culturale, tecnologica, religiosa che hanno causato e causano tanta sofferenza a questo nostro mondo, partono tutti da un pensiero di dualità che oggi la rinascente «coscienza celtica» (ma anche quella aborigena australiana, indigeno-amazzonica, nativo-americana ecc.) può aiutarci a superare.
La sessualità presso i Celti era quindi una parte integrante dell'essere umano e quindi della società e contribuiva alla crèscita, allo sviluppo e all'evoluzione dell'individuo e se veniva vissuta in modo armonioso non poteva che portare a buoni risultati su tutti i livelli dell'essere, sia personali che sociali. La relazione sessuale era per i Celti un piacevole mezzo di comunicazione fra gli amanti, essenziale per mantenere attiva la forza creatrice di Karantez. La sessualità era una parte fondamentale dell'esistenza unita alla guerra, alla caccia, alla mietitura, alla spiritualità come ogni altro aspetto della cultura celtica e della vita umana.
Solo con l'avvento del Cristianesimo tale aspetto personale e sociale fu isolato, controllato e regolato secondo un codice che non serviva a garantire un certo ordine sociale, ma solo un potere temporale attraverso delle interdizioni spirituali. E evidente che anche nella cultura celtica vi era una regolamentazione della condotta sessuale, ma la sessualità in sé non costituiva una problematica legata alla dualità fra Spirito e Materia, Sacro e Profano.
La visione celtica della sessualità è strettamente connessa con la visione che essi avevano della vita in generale. Basti pensare che in Irlanda  la terra assumeva le forme (oltre che i nomi delle dee Banba, Fòt1a ed Eriu, le Tre-in-Una) di una bella donna che il re doveva sposare e fecondare per potersi dire sovrano.
Ecco che il pianeta e le sue forme divengono espressione del lato femminile della divinità e assumono un valore sacro. Si può così ben comprendere l'amore per le forme del paesaggio che da sempre caratterizza la cultura irlandese, quella affettività diretta, semplice e profonda allo stesso tempo che vede nelle due colline della contea di Kerry «i Seni di Anu», il petto prorompente della dea Anu-Ana-Dana, la VecchiaDonna o Madre Terra secondo il dire moderno e nelle strette valli dell'Isola di Smeraldo la «vulva fertile della terra» come descrivevano i poeti del primo medioevo.
Strabone parla dei Celti dicendo che sono un popolo semplice e senza malizia, mentre altri antichi autori li descrivono talvolta come «gente dai facili costumi», dove sia gli uomini che le donne possono avere più di un marito o di una moglie (il sistema del concubinaggio che abbiamo visto), dove i guerrieri spesso mostrano comportamenti omosessuali e dove i figli possono nascere da una coppia anche al di fuori del matrimonio. Ammiano Marcellino ci riporta che i Celti, indistintamente dalla classe sociale di appartenenza, curavano tutti l'igiene del corpo e che nessuno andava in giro coperto di stracci, testimonianza che ci fa pensare alla considerazione che essi nutrivano per il proprio corpo e le sue esigenze.
Nella società romana veniva riconosciuta una sola forma di matrimonio in cui il pater familias aveva diritto di vita e di morte sui membri della propria famiglia, le avventure prematrimoniali femminili erano scoraggiate e severamente punite quelle extraconiugali se portate avanti dalle donne. Agli occhi dei Romani, quindi, l'usanza celtica che prevedeva più di una forma di matrimonio e una libertà della donna in merito alle decisioni riguardo al proprio patrimonio e alle unioni sessuali doveva risultare barbara e «di facili costumi».
In più di un'occasione infatti le donne celtiche furono giudicate alla stregua di prostitute, come quando mostrarono i seni senza pudore dagli spalti delle mura dell' oppidum assediato di Sergovia o quando offrirono loro stesse sessualmente ai soldati romani che saccheggiarono la città. Ma dietro questi atti sta la conoscenza della forza paralizzante della nudità femminile e l'estremo sacrificio di donare il proprio corpo in cambio della propria vita e di quella dei propri cari.
Un buon esempio di condotta celtica riguardante la sessualità ci giunge dal racconto delle imprese dell'eroe divino Cù Chulainn quando corteggia Emer. Alloro primo incontro le vesti della ragazza si scostano e l'eroe, vedendole i seni, le propone un amplesso. Emer rifiuta, ma solo finché Cli Chulainn non avesse compiuto alcune imprese eroiche. Questo rifiuto denota la particolarità della donna celtica di poter scegliere il proprio partner e decidere i termini delle future unioni.
Inoltre, nel racconto si vede il differente orientamento del femminile e del maschile come forze che vengono rappresentate da Emer e Cù Chulainn: la prima si identifica con la terra fertile, con le passioni umane e si fa portatrice del rinnovamento della vita, mentre l'eroe è identificato con gli dèi celesti, con le divinità della ragione che sono lontane dalla riproduzione. L'unione sessuale è l'atto che li fa incontrare, che mette in gioco le differenti forze e le fa comunicare, soddisfando il bisogno di riconoscersi, oltre che come rappresentanti della Forza Maschile e di quella Femminile come uomo e donna.

La colpa di una eventuale infedeltà della donna celtica non ricadeva su  quest'ultima, ma sul marito per aver mancato nella sua responsabilità di aver disatteso le esigenze sessuali e riproduttive di lei. Nei miti che riguardano i Tuatha Dé Danann vi è la figura della dea della battaglia Morrigan, a cui i guerrieri si univano sessualmente per ottenere la vittoria nello scontro. Se era lei a offrire i propri favori e questi venivano rifiutati, allora diventava un pericoloso e vendicativo nemico, come una donna celtica insoddisfatta! Inoltre è quasi certo che fosse diffusa fra le donne celtiche la conoscenza e l'uso delle forze potenti che si manifestano in loro durante il ciclo mestruale. In tutti i miti celtici sono presenti dee ed eroine sotto forma di madri e nutrici, amanti passionali, vecchie distruttrici.
Per quanto riguarda il discorso sull' omosessualità maschile nei gruppi di guerrieri, .rimandiamo alla pagina "importanza della funzione guerriera presso i Celti" una sua trattazione.