***Importanza della funzione guerriera presso i Celti***
Abbiamo già accennato alla tripartizione indoeuropea all'interno della società
celtica esprimentesi nella suddivisione Druidi-Guerrieri-Produttori che
riproduceva nel sodalizio umano l'espressione divina della materia. I Druidi
rappresentavano la Conoscenza-Saggezza, i Guerrieri la Forza-Potere e i
Produttori l'Amore-Creatività, incarnando ciascuno nei peculiari elementi
distintivi, comportamenti, regole, oggetti, abitie colori indossati, le qualità
specifiche di ciascuna Energia. Se ogni classe era un aspetto della divinità i
Celti sono passati alla storia soprattutto per la loro importanza come guerrieri
e questo paragrafo ha il compito di cercare di descrivere e restituire al suo
reale e profondo significato proprio la classe dei guerrieri.
E importante
però tenere sempre presente che la società celtica era organizzata secondo lo
schema divino conosciuto dai Druidi, i quali insegnavano che il Tutto, l'OIW,
immanifesto e inconoscibile direttamente, si poteva avvicinare attraverso
l'espressione delle sue tre manifestazioni: Forza/Potenza, Amore/Creatività e
Saggezza/Conoscenza. Ogni classe sociale celtica era espressione di una di
queste qualità e aveva tutta una serie di miti di riferimento per mantenere un
comportamento consono alla funzione divina e svilupparne le caratteristiche
adeguate. Potremmo dire che ogni individuo aveva la possibilità di raggiungere
la coscienza del Tutto per mezzo dello sviluppo delle potenzialità di una delle
sue qualità, per essere più precisi di quella a cui apparteneva la sua classe
sociale.
La classe dei guerrieri, preposta alla difesa della comunità e pertanto
consacrata alla Forza e all'uso delle armi, doveva necessariamente conformarsi
al rta, parola indoeuropea designante l'ordine morale, cosmico e rituale (che
presso i Celti irlandesi troviamo sotto il nome di recht con il significo
di legge). I guerrieri dovevano identificarsi e diventare tutt'uno con l'ordine
cosmico fino a incarnare e divenire il supremo ordine delle cose, in modo da
rappresentarlo, difenderlo e farlo rispettare come se tale ordine agisse in
prima persona attraverso di loro.
Per rendere possibile questa «catarsi», questa trasformazione, i guerrieri
dovevano essere integri sia nel corpo che nello spirito, ma dovevano possedere
anche molte qualità che assomigliavano ai difetti dei nemici che attentavano al
rtà, perché attraverso questi caratteri negativi sarebbe stato possibile
combatterli e vincerli.
In battaglia i guerrieri dovevano rispondere all' audacia, alla sorpresa, agli
inganni, ai tradimenti dell'avversario con delle azioni dello stesso tipo, ma
più efficaci, rischiando però una sconfitta dovendo andare per un momento contro
ciò per cui stavano combattendo. Dalle descrizioni mitiche giunte sino a noi
dall'Irlanda, dalla Scozia e dal Galles, dobbiamo pensare che i guerrieri
fossero addestrati in modo adeguato (come verrà descritto nel paragrafo dedicato
a Nerz, la Forza) per saper alterare il proprio stato di coscienza prima
di uno scontro e usufruire così di quelle particolari energie spirituali che
invadono la personalità dello sciamano durante i suoi riti. Lo sciamano, e
soprattutto il guerriero in preda al <<furore» (il famoso furor gallico), cambia
stato di coscienza e diviene «frenetico», restando tuttavia abbastanza cosciente
per controllare il proprio corpo e guidarlo in imprese sia terrene che celesti
allo stesso tempo.
Ubriachi o esaltati i guerrieri dovevano porsi in uno
stato mentale e muscolare di nervosismo che moltiplicasse e amplificasse le loro
forze, che quasi li trasfigurasse rendendoli addirittura estranei al gruppo che
proteggevano.
I guerrieri in questo modo divenivano perciò strumenti della Forza e non agivano
più per volontà propria, ma si adeguavano all'inconoscibile logica interna della
Forza, che non si poteva provare se non infrangendo dei limiti, e che si
consolidava non solo essendo forti davanti a un qualsiasi avversario, in una
qualunque situazione, ma soprattutto essendo forti in se stessi, divenendo i più
forti, anche se questo era un superlativo pericoloso per un essere non divino.
Il concetto di guerriero espresso in questi termini era estraneo alla cultura di
altri popoli contemporanei e successivi ai Celti; basti infatti pensare
all'atteggiamento sconcertato riscontrato negli autori classici quando
descrivevano l'assurdo coraggio dei popoli celtici nell' affrontare il pericolo,
sia in battaglia che nei riguardi delle forze della natura, quando, per esempio,
equipaggiati di tutto punto si scagliavano con la spada in pugno contro le onde
del mare in tempesta, o si rifiutavano di fuggire durante i terremoti o ancora
minacciavano con la lancia le lingue di fuoco di un incendio. In questi esempi
sta il mistero del guerriero celta: un uomo che sapeva stimolare in se stesso
degli stati di coscienza particolari, in grado di fargli percepire la Realtà
Spirituale dietro le manifestazioni materiali dell'esistenza. Essere un
guerriero tra guerrieri era l'ideale di vita per un celta, ma il fatto di morire
in combattimento attorniato da amici, poeti e un centinaio di nemici uccisi era
la realizzazione più grande a cui egli potesse agognare.
Associato a questo particolare concetto del «guerriero», presso i Celti era
evidentemente particolare anche il discorso legato alla guerra e allo scontro.
La battaglia celtica non avveniva mai o quasi mai per motivi di conquista
territoriale, ma spesso come prova fisica e virile, per razzia o per vendetta di
oltraggi subiti. L'immagine di interi eserciti che si muovono in campagne
militari preordinate e in grado di devastare un paese intero, decimando la
popola,zi0ne, era estranea alla cultura celtica.
Chiarificanti a questo proposito sono i racconti degli scrittori classici che
riportano l'usanza celtica di «sfida fra campioni», momento di scontro fra
guerrieri eccellenti che poteva risolvere un conflitto ed evitare molte morti.
Più di un comandante romano venne sfidato a questo tipo di combattimento e
qualcuno ci lasciò la testa, ma altri si guadagnarono la vittoria e un
soprannome, come Tito Manlio Torquato, il cui cognomen si riferiva proprio al
torques strappato a un capo celtico al termine di un duello. Ricordiamo che,
come tutte le espressioni della società celtica, anche il combattimento e la
guerra erano connessi alla Realtà Spirituale, divenendo un momento sacro
all'interno della vita di un uomo.
È altresì molto importante tenere conto della differenza che esiste fra il
«guerriero» e il «soldato». Il primo è un individuo che basa la propria azione
difensiva-offensiva sulle capacità personali piuttosto che su quelle del gruppo;
ha imparato a riconoscere la sua funzione e la sua particolarità all'interno
della società e a utilizzarle per il bene comune; è legato agli altri guerrieri
da un vincolo totemico e magico; deve rispondere ad alcuni geàsa
personali che legano lui stesso e le sue azioni, al mondo spirituale,
sottolineando ancora una volta l'indissolubile connessione fra spirito e
materia, sacro e profano; combatte in scontri individuali e si vergogna di
vincere con l'inganno o il tradimento; ha un codice d'onore ben definito che
diviene il metro del suo comportamento; prima di rientrare nella comunità dove
vive, osserva un periodo di purificazione rituale in seguito a uno scontro che
ha comportato la morte degli avversari; ubbidisce ai suoi «superiori» (per i
Celti questo termine indica una superiorità dimostrata e riconosciuta, non
legata a un grado); gli viene riconosciuto il valore delle sue azioni e sia il
suo abbigliamento che il suo comportamento non devono essere conformi a quello
degli altri, ma anzi gli viene chiesto di distinguersi con colori e oggetti
propri.
Il «soldato», invece, è un individuo al quale viene chiesto di cancellare la
propria personalità per uniformarsi agli altri e qualsiasi distinzione viene
scoraggiata; lo scontro a cui partecipa è collettivo e non vi sono regole
onorevoli per ottenere la vittoria; dopo aver svolto il compito di portare la
morte non resta in disparte a riequilibrare le proprie energie interiori;
ubbidisce ai superiori riconoscendo dei gradi formali e non reali; non gli viene
richiesto il riconoscimento di un suo legame con il mondo spirituale; non
combatte per onore ma per conquista, e non lo fa come rappresentante ed
espressione terrena della Forza, ma semplicemente come strumento di se stesso o
della nazione.
La funzione guerriera della società celtica era in sintonia con la divinità
stessa e pertanto vi erano diversi dèi, ma soprattutto dee, che proteggevano,
insegnavano l'uso delle armi e si manifestavano sul campo di battaglia
attraverso i guerrieri.
Spesso, come una sorta di nume tutelare o figura totemica, a capo del gruppo di
guerrieri vi era un dio solare o un eroe divinizzato, che sovente aveva accanto
anche un animale a rappresentarne le qualità. Il comportamento che i combattenti
dovevano tenere nella vita era codificato dai racconti orali delle imprese e
delle avventure militari e non della divinità o dell' eroe di riferimento.
Nelle saghe irlandesi svettano le figure del dio solare Lugh, che combatté
personalmente contro i Fomori (creature delle tenebre) nella battaglia di
Moytura. Nel poema intitolato Tàin Bò Cùailnge «<La Razzia di
bestiame di Cuailnge»), l'eroe divino Cù Chulainn viene ferito
durante una battaglia, sviene e nel periodo di sonno di tre giorni viene
sostituito dal dio-padre Lugh che può così battersi sulla Terra.
Finn McCool (o Mac Cumhaill) è un altro eroe del ciclo epico irlandese
dei Fenian (o Fianna) e il suo nome significa bianco (Finn in gaelico;
Gwinn in bretone). Finn è un eroe solare che perseguita i mostri e raddrizza i
torti e assomiglia all'eroe Cù Chulainn. Un altro esempio è Oisin, figlio
di Fionn Mac Curnhail e della dea Sadb, che fu un grande guerriero dei
Fianna.
L'organizzazione dei guerrieri irlandesi Fianna è molto particolare e
sembra anticipare alcuni ordini cavallereschi sorti nel medioevo. Dal 1°
novembre (festa di Samhain che segnava l'inizio dell' anno celtico e della «metà
scura») al 1° di maggio (festa di Beltane che segnava l'inizio della «metà
chiara» dell'anno celtico) essi vivevano presso i villaggi, vegliavano
sull'applicazione della giustizia, difendevano le vedove e gli orfani. Dallo
maggio allo novembre, invece, cacciavano i cervi e i lupi, reprimevano i
brigantaggi e aiutavano a riscuotere le imposte.
Vi erano diverse regole da rispettare per poter essere ammessi al gruppo dei
Fianna, norme che rendevano l'individuo in grado di esprimere quelle qualità che
ne facevano un uomo onorato e degno di tal nome. Egli era tenuto a: essere
pacifico nella casa di un potente e minaccioso nei luoghi pericolosi; non
mischiarsi in battaglia con buffoni;
essere sempre pronto con le armi in pugno fino al termine dello scontro; non
rinnegare né tradire il suo signore e non abbandonare, né per oro né per altra
ricompensa, chi si era impegnato a proteggere; non fare discorsi vanagloriosi,
perché era disonorevole parlare con troppa superbia e non saper rendere con
azioni ciò di cui ci si vantava; cedere a ciò che è giusto e per il suo sangue
nobile a non ingiuriare un popolo davanti al suo capo; non mentire, parlare
troppo o biasimare in modo avventato; quantunque si ritenesse un uomo buono, non
alimentare discordie nei propri confronti; non picchiare il proprio cane se non
aveva sbagliato, né accusare la propria moglie senza essere certo della colpa;
non criticare chi aveva una reputazione buona; riservare alle donne, ai bambini
che ancora non camminavano e ai poeti i due terzi della sua gentilezza e non
essere violento con la gente comune; non frequentare le taverne, non fare
pettegolezzi sugli anziani né accompagnarsi con uomini di bassa condizione; non
prendere parte a litigi e stare lontano dai folli e dai malvagi; distribuire con
generosità il proprio cibo; non accogliere uomini avari nella propria casa; non
prevaricare i capi né essere da loro biasimato; essere pronto a dare più che a
negare.
Unite a queste qualità da esprimere attraverso il proprio comportamento per
essere un degno guerriero Fianna, il candidato era tenuto a superare alcune
prove davvero impegnative.
Egli doveva farsi ricevere tra il numero dei Filid (i poeti sapienti)
dimostrando di conoscere a memoria i Dodici Libri della Poesia e sapendo
comporre lui stesso versi in rima e secondo il metJ10 dei maestri. Dopo essere
stato seppellito fino alla cintola nel terreno doveva dimostrare di essere in
grado di difendersi solo con uno scudo e un bastone di nocciolo contro nove
guerrieri che gli lanciavano a turno i loro giavellotti (se veniva ferito non
era accettato). Con i capelli divisi in piccole trecce, doveva correre
attraverso i boschi inseguito da tutti i Fianna e se veniva raggiunto, se una
delle trecce si scompigliava o se un ramoscello si spezzava sotto i suoi piedi
non era accettato. Inoltre doveva saper saltare oltre un' asticella posta all'
altezza della propria fronte e passare correndo al di sotto di un'altra posta
all'altezza delle proprie ginocchia.
Doveva poi essere capace di togliersi una spina dal piede senza fermare la sua
corsa né ridurre la velocità. Se si sposava non poteva accettare la dote
offertagli.
A queste condizioni è evidente che i Fianna erano un' élite di guerrieri
selezionati con cura e forse le prove alle quali venivano sottoposti, le loro
caratteristiche e le imprese. che compivano divennero in seguito la base per
tutte quelle leggende che nel medioevo ispirarono i menestrelli e i signori dei
castelli europei a creare la società cavalleresca che ancora oggi è fonte di
nostalgia per alcuni cuori e animi di nobili ideali.
Per comprendere bene la società celtica, le sue strutture, le sue credenze, i
suoi valori, i suoi rituali e via dicendo, è necessario fare riferimento alla
mitologia, a tutta quella serie di racconti che esaltano le gesta di dèi, eroi e
uomini e che sono giunti fino a noi grazie alla paziente trascrizione di monaci
cristiani ma soprattutto alla sapiente memoria della tradizione orale. Infatti,
leggendo con attenzione i miti celtici è possibile reperirvi molto materiale
interessante che può oggi ridonarci il senso di quella che poteva essere la
cultura celtica nella sua essenza.
Il ruolo importante che veniva riconosciuto alla funzione guerriera nella
società celtica ci viene testimoniato dalle vane opere degli autori classici e
dalle numerose saghe bretoni e irlandesi. L'ideale del guerriero celta ci è ben
chiaro leggendo le avventure dell' eroe irlandese Cu Chulainn che da bambino,
quando ancora si chiamava Setanta, dopo aver sentito una profezia che recitava:
«il ragazzo che indosserà oggi le armi sarà valoroso e celebre, ma avrà vita
corta», getta i suoi giochi e domanda al re di poter prendere le armi;
ottenutone il permesso incontra il Druido Cathbad, autore del pronostico e
l'eroe così afferma: «che io viva per un solo giorno o una sola notte poco
imposta, purchè restino dopo di me il mio ricordo e il racconto delle mie
imprese».
Le gesta degli eroi, degli antenati e degli dei guerrieri erano narrate durante
i banchetti e fornivano degli esempi di comportamento. ai quali venivano
abituati i Celti fin dall'infanzia. Essi per tutta la loro vita si sarebbero
ispirati ai principi di onore, lealtà, fama, rispetto di certe .regole (la
vittoria ottenuta con l'inganno era più degradante di una disfatta; l'eroe non
concepiva altra morte se non quella in combattimento) che ne avrebbero
condizionato il carattere e la condotta. Il macchiarsi di misfatti che potevano
far perdere la fama e divenire oggetto di satira era un grave disonore per il
guerriero celta che vedeva così offuscarsi l'immagine gloriosa che avrebbe
voluto tramandare alla posterità.
Al guerriero, oltre l'uso delle armi, veniva impartito anche un insegnamento
atto a fargli scoprire delle risorse sovrannaturali insite in lui da utilizzarsi
in combattimento, spesso regolate da determinati tabù chiamati geàsa o geàssa (geis
al singolare) che se infranti, causavano la morte. Questi divieti rituali (il
cui significato viene reso con «vincolo», «incantesimo», «proibizione»,
«ingiunzione magica») erano delle regole speciali non sottoposte alla volontà
del combattente e la. loro natura particolare li rendeva contraddittori a tal
punto che quasi certamente venivano infranti o sfidati, così da determinare
prima o poi la sconfitta sul campo di battaglia. Un chiaro esempio sono i geàsa
dell' eroe Cu Chulainn: egli non poteva rifiutare l'invito a un banchetto e non
poteva nutrirsi di carne di cane. Un giorno, essendo entrato in conflitto con la
dea Morrigan,.la Tre-in-Una della battaglia, ricevette da tre vecchie (la dea
sotto mentite spoglie) l'invito a un banchetto in cui venne servita carne di
cane. Cu Chulainn non può fare a meno di rompere uno dei ,due tabù rituali o
rifiutare l'invito o mangiare carne di cane, e perciò viene successivamente
sconfitto e ucciso.
Una particolarità degli eroi celtici dei racconti epici è il fatto di morire in
piedi. Cù Chulainn, infatti, al momento .della. sua morte lega con la cintura a
un pilastro di pietra e spira, ma i suo avversari devono attendere finché
la luce attorno alla sua figura scompaia prima di decapitarlo e prenderne la
testa come trofeo.
La caccia alle teste perpetrata dai guerrieri celti (usanza comune presso tutti
i popoli della steppa) era dovuta a diversi fattori, perché costituiva la prova
per suffragare i racconti di battaglie e scontri vittoriosi la
testimonianza del proprio valore e coraggio, soprattutto quando i crani venivano
puliti e ingrassati con olio di cedro, appartenendo a capi o a guerrieri famosi;
la credenza secondo la quale uccidere un nemico equivaleva ad appropriarsi della
sua anima (posta nella testa e non nel cuore) e delle sue qualità ed era il
guerriero che l'aveva abbattuto che doveva avere fra le mani il cranio del
nemico per acquisirne le virtù; un ostacolo per lo spirito del nemico ucciso nel
caso intendesse ritornare dall'Aldilà a reclamare vendetta; un potente talismano
dalle qualità di protezione della comunità o della casa su cui veniva posta; un
oggetto propriamente rituale, essendo la testa la parte più nobile del corpo
umano, sede del pensiero e quindi del sapere.
Evidenziamo fra tutti il potere attribuito alle teste inchiodate o appese fuori
dalle capanne o sulle mura degli oppida celtici, sui portoni delle case e dei
templi o, nel medioevo, scolpite nei capitelli e sui davanzali delle finestre di
castelli e chiese, considerate in grado di spaventare e allontanare gli spiriti,
gli incantesimi malvagi e gli uomini indegni. La saga di Cu Chulamn, oltre a
contenere numerose testimonianze leggendarie e .fantastiche, è un prezioso
documento attraverso il quale poter ricostruire in modo più o meno preciso quale
doveva essere la preparazione e la vita di un guerriero celta. Dopo i primi
anni, generalmente cinque, durante i quali il bambino cresceva presso i
genitori, esso veniva mandato alla corte del re, o di certo di un nobile, dove,
in compagnia d:i suoi pari, apprendeva l'uso delle armi attraverso i giochi di
abilità e duello con le spade di legno, e riceveva qualche elemento di
istruzione letteraria che era però prerogativa delle scuole druidiche atte a
formare l' élite intellettuale del popolo. I bambini e gli adolescenti erano gia
sottomessi alle regole del mondo degli adulti e stabilivano tra loro rapporti di
dipendenza forse rispecchiando quell' organizzazione particolare che avrebbe poi
regolato la loro vita successivamente. Cù Chulainn al suo arrivo a corte viene
infatti aggredito da tutti i compagni, perchè non aveva chiesto la loro
protezione e tale consuetudine costituiva un tabù magico la cui infrazione
impediva l'integrazione nel gruppo. I Celti erano un popolo stretto intorno al
concetto di famiglia, clan,n tribu, di popolazione circoscritta, e pertanto il
fatto di appartenervi e di esservi integrati appariva di vitale importanza.
Il momento clou per un giovane celta era quello in cui impugnava le armi
per la prima volta e ciò avveniva intorno ai 17 anni. Questo avvenimento si
situava alla fine del periodo di forestage ed era caratterizzato dall' entrata
in 'p0~sesso d.i una lancia e di uno scudo. L'equipaggiamento poteva venire in
seguito completato da diversi giavellotti e da una spada di ferro. Un guerriero
di rango più elevato poteva poi disporre di un carro da battaglia guidato da un
cocchiere, che si faceva carico anche della manutenzione del veicolo e della
cura dei cavalli, ma non partecipava direttamente al combattimento. Il termine
irlandese designante l' eroe (eirr) e anche la parola che tradotta
letteralmente significa «uomo da carro»: Generalmente la casta guerriera era
reclutata presso le famiglie nobili perchè solo questa classe poteva permettersi
i costi dell'equipaggiamento e il mantenimento del carro, dei cavalli e del
conducente, e inoltre disponeva del tempo libero necessario per dedicarsi
all'addestramento intenso e quotidiano.
Tuttavia è interessante riportare la notizia secondo la quale gli Elvezi,
durante il tentativo di emigrazione avvenuto nel 58 a.c. che scatenò la guerra
di Gallia e la fine dell'indipendenza celtica Transalpina per mano di Giulio
Cesare, contavano per una popolazione di 368.000 persone 92.000 uomini in armi,
e cioè proporzionalmente un individuo armato ogni quattro. Facendo un calcolo
sulla proporzione del numero di donne, di vecchi e bambini presenti fra gli
Elvezi, si conclude che vi era stata la mobilitazione generale di tutti i maschi
adolescenti e adulti della tribù. Ne consegue che o dovevano esserci molte più
famiglie nobili di quello che normalmente si è portati a pensare, oppure che in
caso di bisogno anche altre persone erano ritenute degne di portare le armi.
Inoltre è ormai assodata e accertata dagli studiosi la presenza di donne
guerriere fra gli armati tribali in epoca celtica antica, ma non si è sicuri che
questo costume fossa ancora presente in Gallia all' epoca delle guerre di
Cesare. Sicuramente la figura di Boadicea nel I secolo d.C. testimonia che in
Britannia la donna-guerriero era ancora una realtà consolidata anche in epoca
tarda.
Tornando agli Elvezi vi è chi ritiene che esprimessero ancora un tipo di
organizzazione arcaica nella quale non vi era una potente e ristretta oligarchia
militare a capo della comunità, ma che la tribù fosse formata da un insieme di
individui che godevano più o meno degli stessi diritti e tra i quali venivano
scelti i capi, per cui tutto il popolo era combattente e chiamato a difendere la
comunità.
Le testimonianze giunte attraverso i miti e gli scavi archeologici ci hanno
portato a pensare che i guerrieri tendessero a riunirsi sotto il nome di un dio,
di un eroe mitico o di un animale, formando delle confraternite, delle famiglie
che raggruppavano diversi individui. Sembra che quell'usanza riscontrata presso
le tribù indiane dell' America settentrionale dove esistevano dei clan di
guerrieri che prendevano il nome del loro animale totem (aquila, orso, lince e
così via), sia stata una consuetudine presente anche fra i guerrieri celti.
Vi sono delle tradizioni che tramandano per queste confraternite la possibilità
di trasformarsi nel loro animale totem e di combattere sotto quell' aspetto.
Generalmente i gruppi di cui si hanno notizie si battevano sotto l'insegna
dell'orso, del lupo, del corvo e del cinghiale (anche se quest'ultimo viene
talvolta associato alla simbologia sacerdotale e quindi legata ai Druidi) e vi
sarebbe stato un centro di iniziazione per il clan dell'orso dove oggi sorge la
città di Berna, in Svizzera. Nella saga di Artù (il cui nome deriva dalla radice
celtica arth che significa «orso»), insieme di leggende medievali che
ereditarono la ricchezza della mitologia celtica, troviamo citato un personaggio
del clan del lupo, un cavaliere appartenente alla prima Tavola Rotonda istituita
da Uther Pendragon, Ulfius.
Alcuni autori classici e moderni hanno attribuito a queste strette cerchie di
guerrieri celti l'abitudine dell'omosessualità. Vi sono alcune testimonianze che
segnalano che tra i giovani maschi era usanza offrire il proprio corpo ai
guerrieri più anziani e valorosi. È riportato che l'omosessualità era
considerata come un'istituzione onorevole e sacra per i guerrieri celti e che
fosse praticata in particolar modo durante alcuni rituali. Nei primi anni del
Cristianesimo, tuttavia, tale pratica ~e~ne con,d~nnata, non tanto per l'unione
di due uomini (l'omosessualità femminile ,non veniva praticamente presa in
considerazione), ma perchè uno del due assumeva durante il rapporto sessuale una
«posizione da donna» e questo veniva considerato una degradazione della
mascolinità.
È evidente che presso i Celti esisteva una società guerriera fortemente segnata
da vincoli virili nella quale finchè un giovane non era in età adatta a portare
le armi viveva quasi esclusivamente a contatto con i membri del proprio sesso,
fino al completamento del proprio addestramento. Sia durante quel periodo che in
quelli successivi egli giudicato un ambiente adatto alla propria condizione
quello maschile dei guerrieri e pertanto vi passava la maggior parte del suo
tempo.
Facendo riferimento ancora una volta al racconto mitico come fonte di
insegnamento, troviamo che Cu Chulainn, dopo aver lasciato la corte di re
Conchobar,.si reco da tre guerriere (o dee) che oltre a insegnarli a usare le
armi, lo iniziarono al sesso. Prima di allora egli non ebbe alcun contatto con
l' elemento femminile della tribù. Fra i guerrieri celti infatti si giudicava
addirittura nocivo che un giovane si dedicasse ai rapporti sessuali con le donne
prima di aver indossato le armi, perché questa pratica riduceva la sua forza.
Non deve stupire che la componente omo-erotica di fondo molte amicizie virili si
accentuasse a tal punto da .trasformarsi m aperta omosessualità, ma vorremmo
evitare di generalizzare il fenomeno designando per tutti i guerrieri celti una
chiara e ineluttabile omosessualità.
Tuttavia presso i Celti trovava posto una particolare attenzione per la bellezza
nelle sue diverse forme e inoltre esistendo queste confraternite di guerrieri
nelle .quali veniva esaltata la componente maschile, il culto del corpo
armonioso e robusto, le imprese di coraggio, era naturale che vi fosse una
atmosfera. di ammirazione e simpatia per l'uomo, per il compagno, per l' auriga,
per il combattente, per l'eroe, e che questa ammirazione si trasformasse a volte
in amore, non soltanto platonico.
Diodoro Siculo si stupisce che gli uomini 'preferiscano l'amplesso con. membri
del proprio sesso disdegnando la compagnia delle donne celtiche alquanto
graziose, che essi concedano senza pudore il proprio corpo in modo disinibito e
che si offendano se vengono rifiutati i loro approcci. Strabone conferma
queste pratiche omosessuali e dichiara che gli adolescenti dispensavano con
liberalità i loro giovani corpi a guerrieri adulti e Ammiano Marcellino ne
rafforza l'opinione aggiungendo che i ragazzi in età puberale servivano a
soddisfare i guerrieri più anziani fino a che da soli non fossero riusciti a
catturare un cinghiale o a uccidere un orso di grosse dimensioni. Unica voce
levatasi in difesa di tale pratica è quella greca di Aristotele (forse, però,
troppo. di parte.) che dichiarava che grazie a questa abitudine essi possono
evitare il dominio della donna che è il flagello degli Stati. Ammiano Marcellino
inoltre loda il rispetto estremo che i Celti avevano per il proprio corpo
testimoniando che fra di essi vi trovava un posto d'onore l'eleganza e che mai
ne aveva veduto alcuno, uomo o donna andare in giro sporco o coperto di stracci.